martedì 7 luglio 2015

Recensione: L'altra Verità. Diario di una diversa di Alda Merini.

Buona sera cari mangia libri!
Siamo tornate con una nuova recensione dopo forse milioni di anni che non aggiornavamo! Finalmente abbiamo finito gli esami e siamo pronte a rituffarci tra i post del nostro blog. Volevo, dunque, parlarvi di un libro, che tra l'altro ho presentato anche nel mio percorso d'esame, intitolato L'altra verità. Diario di una diversa di Alda Merini.

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Chi è Alda Merini?




Alda Merini nasce il 21 marzo del 1931 a Milano così come sancisce anche la sua poesia "Sono nata il ventuno a primavera" della raccolta Vuoto D'amore. Esordisce a soli 15 anni e viene internata nell'ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano fino al 1972 a causa di un disturbo bipolare. In seguito, quando anche il suo secondo matrimonio fallisce, rivive gli orrori dell'ospedale psichiatrico ma questa volta di Taranto. Muore poi il 1 novembre del 2009 a causa di un tumore osseo.






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Titolo: L'altra Verità. Diario di una diversa;
Autrice: Alda Merini;
Pagine: 158;
Casa editrice: Rizzoli;
Data d'uscita: 1986;
Prezzo: 7,65 euro;
Genere: autobiografico;
Voto: 

Trama: Un alternarsi di orrore e solitudine, di incapacità di comprendere e di essere compresi, in una narrazione che nonostante tutto è un inno alla vita e alla forza del "sentire". Alda Merini ripercorre il suo ricovero decennale in manicomio: il racconto della vita nella clinica psichiatrica, tra elettroshock e autentiche torture, libera lo sguardo della poetessa su questo inferno, come un'onda che alterna la lucidità all'incanto. Un diario senza traccia di sentimentalismo o di facili condanne, in cui emerge lo "sperdimento", ma anche la sicurezza di sé e delle proprie emozioni in una sorta di innocenza primaria che tutto osserva e trasforma, senza mai disconoscere la malattia, o la fatica del non sentire i ritmi e i bisogni altrui, in una riflessione che si fa poesia, negli interrogativi e nei dubbi che divengono rime a lacerare il torpore, l'abitudine, l'indifferenza e la paura del mondo che c'è "fuori".

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Quando acquistai questo libro, forse già sapevo che mi avrebbe toccato davvero nel profondo. Infondo, esso parla della storia di una donna sensibile, ma allo stesso tempo forte da superare gli orrori dell'ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano. 

"Per tutto il giorno non ci facevano fare nulla, non ci davano né sigarette né cibo al di fuori del pranzo e della cena; e vietato era anche parlare".

Alda Merini descrive il manicomio come un luogo in cui il tempo si dilata notevolmente e dove parecchie violenze ricadono sulla vita dei pazienti. In primis ritroviamo l'elettroshock, la forma più comune di brutalità all'interno di questi edifici, ma solo leggendo tra le pagine di questo libro si può realmente comprendere il dolore che veniva inferto. La scrittrice dichiara anche di essersi ritrovata spesso legata a letto con delle fascette alle mani e ai piedi: ciò ci da l'idea dei metodi disumani utilizzati all'interno dei manicomi. 
Il personale medico è svariato, ma loro non sembrano al quanto importarsi di quella che è la situazione dei loro pazienti, anzi spesso godono nel vederli soffrire. Riporta anche episodi in cui delle infermiere s'imbellettano e si depilano le gambe sul posto di lavoro.

"La Capa, poi, era un vero mostro di scelleratezza. Dotata di eccezionale bellezza, il che non le toglieva nulla dell'inferno dal quale proveniva, si divertiva un mondo vedere soffrire i pazienti sotto l'effetto di forti terapie".

A rischiarare l'ambiente, però, arriva il dottor G., un freudiano convinto di curare i disturbi mentali attraverso la psicanalisi, il quale ipotizza che la scrittrice è vittima di un trauma infantile. Con lui si apre e instaura buonissimi rapporti, poiché appare l'unico medico in grado di ascoltare i propri pazienti.
Per quanto riguarda la dimensioni degli affetti, ad  Alda Merini sono concessi rientri a casa, ma viene allontanata dalle sue figlie e completamente abbandonata da suo marito Ettore Carniti, un uomo geloso che quando rincasa ubriaco la picchia, facendola cadere in profonde crisi depressive. Lui le dice di essersi stancato di lei e che la creatura appena nata non le appartiene. Costringe, così, la scrittrice ad allontanare la bambina e a ritornare in manicomio.
Nonostante il disaggio provato all'interno di questo luogo ostile,  Alda si innamora di Pierre, uno dei pazienti, ma il loro amore sentimentale e semplice da alla luce anche una bambina. Sfortunatamente, Pierre viene trasportato in un cronicario e lei scappa dall'ospedale psichiatrico per raggiungerlo.
Nelle pagine finali del libro si possono trovare delle lettere che la scrittrice ha indirizzato a Pierre e io vorrei presentarvi la mia preferita:


 "Amore mio,  vorrei che tu venissi a vedermi stasera qui, nel mio lettino tutto bianco. E sto pensando a te. Sto pensando alle rose rosse che mi hai dato ieri. Ho qui davanti una rivista ma non la leggo. Il pensiero di te mi appaga molto di più (…)
Oh, se ti avessi qui vicino, contro il mio grembo! oh, l’amore è fatto anche di questo, e perciò ti bacio e ribacio sui tuoi bei capelli neri. O Pierre, basterebbe poco a morire. Vivere qui dentro è terribile, e io, morta, volerei da te per sempre (…)
Mi ami tu? Non mi hai ancora mandato un biglietto, ma io ogni sera ti scrivo lunghissime lettere, Pierre, e su quelle lettere piango. L’infermiera quando vede le mie lacrime pensa che io sia depressa. E invece no; piango di gioia e piango di amore perché io e te siamo due esseri felici nella nostra nudità (…)È possibile, Pierre, scrivere di queste lettere in manicomio?Ma quanta pace c’è qui dentro. E poi, nessuno che ti guardi e ti ascolti. Oh, sì, Pierre, proprio qui dentro, credimi, è venuto il momento di amarci."

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Questo libro mi ha lasciata completamente a senza parole, non solo per la storia toccante, ma anche per come viene presentata dalla stessa autrice. Né parla in modo profondo e sicuramente è un'autobiografia scritta in un modo impeccabile. Ho trovato le lettere dedicate a Pierre davvero molto sentimentali e dolci, scritte da un animo così nobile e profondo. Credo che rivivere gli orrori e le violenze del manicomio attraverso un libro sia un modo per non dimenticare: non bisogna ritornare al passato e ricommette un errore simile. La diversità non conta, siamo tutti esseri umani ugualmente fragili.
Spero di avervi appassionato a questa autrice e se è stato così vi invito a visitare il sito ufficiale di Alda Merini, coniato dalle figlie Emanuela, Barbara, Simona e Flavia in ricordo della loro madre.
Alla prossima recensione!
Maryleescence.

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